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JAKE LA MOTTA

3Sulla sua storia hanno fatto un film, “Toro scatenato” (Raging Bull, 1980), con Robert De Niro, diretto da Martin Scorsese e giudicato dai critici americani il miglior film degli anni ’80.

Otto nomination all’Oscar e trionfo personale di De Niro il quale, letta e riletta la biografia del nostro, capì al volo quale fosse il punto dolente dell’aggressivo pugile. Il peggior nemico del leggendario Jake LaMotta?
No, non erano i ganci di qualche colosso di pari potenza, ma i chili che, quasi senza controllo, era capace di metter su nel giro di poche settimane.

Gli incubi di LaMotta. Già, qualcuno al suo posto si sarebbe preoccupato di non farsi fracassare il naso o di non finire K.O. Lui, invece, pensava alla dieta proprio come un classico figurino da passerella. Ma tutto questo non apparteneva alla sfera dei vezzi o ai capricci di un “piacione”. Tutt’altro. Jake, purtroppo per lui, era capace di ingrassare anche di trenta chili fra un incontro e l’altro, metamorfosi che poi gli costava sforzi tremendi per poter rientrare nella sua categoria naturale, quella dei 70 chilogrammi, i pesi medi.

Passare ai pesi massimi non era conveniente per il nostro eroe. In quella categoria gli avversari sarebbero stati tutti giganteschi, mentre lui si sarebbe rivelato troppo piccolo, anche se in compenso, forse, più grasso. Senza mezze misure quando ingrassava lo faceva al meglio, e così superava abbondantemente anche gli 80 chili utili per combattere bene nei massimi.

Giacobe LaMotta, meglio conosciuto come Jake, figlio di italiani, nasce a New York il 10 luglio 1921. Dopo essere cresciuto nel Bronx in mezzo a mille difficoltà che l’han visto combattere per la strada, riformato a scuola e rinchiuso in prigione, comincia la carriera di pugile nel 1941. Il 16 giugno 1949, a Detroit mette al tappeto Marcel Cerdan, diventando campione del mondo dei medi. Riesce a conservare il titolo quando il 12 luglio 1950 si batte con Tiberio Mitri, ma lo perde il 14 febbraio 1951, quando viene steso da Ray Sugar Robinson in un incontro leggendario. Non era certo la prima volta che i due si trovavano faccia a faccia (per l’esattezza si trattava della sesta), ma nei precedenti incontri LaMotta era riuscito a mandare l’avversario al tappeto o quantomeno a vincere ai punti.

Perché non ce la fece quel fatidico San Valentino? Perché era stremato dal tentativo di rientrare nel peso. Il suo incubo si era rifatto vivo nel momento meno opportuno. Lui stesso in seguito descriverà il regime a cui si era sottoposto come qualcosa di impossibile: lunghe e sfiancanti sedute nella sauna, unite ad una dieta strettissima, povera anche di liquidi. Molto in forma all’apparenza, fisico asciutto e scattante, in realtà era sfibrato nella forza muscolare da quello stile di vita fin troppo rigoroso. E così Jake uscì dalla storia della boxe (una storia che ricorda un po’ il bellissimo racconto di Jack London “L’ultima bistecca”, storia di un pugile che perde l’incontro perché affamato). In realtà per dieci riprese sembrava quasi stesse per vincere, poi crollò. Qualcuno sostiene che anche Robinson stesse cedendo e che se l’arbitro non avesse fermato l’incontro alla tredicesima ripresa, forse avrebbe non avrebbe vinto.

Jake LaMotta appese i guanti al chiodo nel 1954 e si ritirò dal ring. Concluse la carriera con 106 incontri disputati, 83 vittorie, 19 pareggi e 4 sconfitte. Personaggio sicuro di sé e senza peli sulla lingua, una volta fuori dal giro delle competizioni ammise tranquillamente di esser stato costretto, su ordine della mafia, a truccare qualche incontro; come quello utile a Billy Fox per poter partecipare al mondiale del 1949. Finì al tappeto e il carneade Fox si fece la sua vacanza al mondiale con le spalle coperte. Anche la vita privata di Jake fu molto movimentata: ben sei mogli e sei rapporti tutt’altro che tranquilli. Il “toro scatenato” Jake ha saputo essere forte sotto i fari di un palazzetto dello sport ma non altrettanto nella vita sentimentale.
Nel 1997 è uscita “Raging bull: my story”, la sua autobiografia.

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